L’albero filosofico. C.G. Jung e il simbolismo alchemico rinascimentale
Abstract
It
Con il presente articolo ci si è prefissi l’obiettivo di analizzare brevemente il rapporto esistente tra la psicologia dell’inconscio di C. G. Jung e la tradizione alchimistica medievale e rinascimentale. Il testo al quale si è fatto riferimento è l’agile saggio L’albero filosofico, pubblicato per la prima volta nel 1945, e ripubblicato in forma più ampia e definitiva nel 1954. In questo lavoro Jung, seguendo un metodo consolidato oramai da tempo, tenta di rintracciare e verificare nella tradizione alchimistica le risultanze della pratica psicoanalitica condotta ai fini della terapia individuale. È Jung stesso a spiegare il criterio di fondo della sua ricerca sul simbolismo alchimistico, fornendo al lettore un suggestivo parallelo tra il lavoro dell’alchimista e quello dello psicoterapeuta. L’alchimista, infatti, svolge la sua attività alla luce di due aspetti fondamentali: l’Opus nel laboratorium, con tutti i suoi incedenti di natura emozionale e demonica, e la scientia o theoria, la quale da un lato predispone e guida l’Opus e, dall’altro, ne interpreta e inquadra i risultati. Il confronto con l’inconscio, ribadisce Jung, è altrettanto “duplice”, essendo sia un’esperienza irrazionale sia un processo conoscitivo. Nelle pagine del saggio junghiano traspare tutto il valore attribuito dallo studioso all’alchimia, in specie a quella altamente simbolica del XVI secolo. La separazione tra esperienza interiore ed osservazione scientifica avvenuta nel momento in cui alcuni alchimisti lasciarono il laboratorium per l’oratorium, ed altri si trasferirono da questo in quello, ha ristabilito però quella dicotomia, quel dualismo tra mondo interiore e mondo esteriore che, per Jung, equivale alla “perdita dell’anima”. “Siamo soliti compiangere gli uni e ammirare gli altri”, afferma lo studioso, ma “nessuno s’interroga sul destino dell’anima che, in quel modo, è affondata per secoli nell’oblio”.
Con il presente articolo ci si è prefissi l’obiettivo di analizzare brevemente il rapporto esistente tra la psicologia dell’inconscio di C. G. Jung e la tradizione alchimistica medievale e rinascimentale. Il testo al quale si è fatto riferimento è l’agile saggio L’albero filosofico, pubblicato per la prima volta nel 1945, e ripubblicato in forma più ampia e definitiva nel 1954. In questo lavoro Jung, seguendo un metodo consolidato oramai da tempo, tenta di rintracciare e verificare nella tradizione alchimistica le risultanze della pratica psicoanalitica condotta ai fini della terapia individuale. È Jung stesso a spiegare il criterio di fondo della sua ricerca sul simbolismo alchimistico, fornendo al lettore un suggestivo parallelo tra il lavoro dell’alchimista e quello dello psicoterapeuta. L’alchimista, infatti, svolge la sua attività alla luce di due aspetti fondamentali: l’Opus nel laboratorium, con tutti i suoi incedenti di natura emozionale e demonica, e la scientia o theoria, la quale da un lato predispone e guida l’Opus e, dall’altro, ne interpreta e inquadra i risultati. Il confronto con l’inconscio, ribadisce Jung, è altrettanto “duplice”, essendo sia un’esperienza irrazionale sia un processo conoscitivo. Nelle pagine del saggio junghiano traspare tutto il valore attribuito dallo studioso all’alchimia, in specie a quella altamente simbolica del XVI secolo. La separazione tra esperienza interiore ed osservazione scientifica avvenuta nel momento in cui alcuni alchimisti lasciarono il laboratorium per l’oratorium, ed altri si trasferirono da questo in quello, ha ristabilito però quella dicotomia, quel dualismo tra mondo interiore e mondo esteriore che, per Jung, equivale alla “perdita dell’anima”. “Siamo soliti compiangere gli uni e ammirare gli altri”, afferma lo studioso, ma “nessuno s’interroga sul destino dell’anima che, in quel modo, è affondata per secoli nell’oblio”.
DOI Code:
10.1285/i17201632vXIIn21p51
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