La spettacolarizzazione mediatica del dolore: il caso della "campagna Peci" (giugno - agosto 1981)
Abstract
L'articolo esamina la spettacolarizzazione del dolore messa in atto dalle Brigate Rosse durante il rapimento di Roberto Peci, fratello di Patrizio, primo grande pentito dell'organizzazione terroristica. La cosiddetta "campagna Peci", condotta in particolare dal brigatista Giovanni Senzani e avvenuta tra il giugno e il luglio del 1981 per mano delle Brigate Rosse/Partito Guerriglia mediante una serie di comunicati contrassegnati dal ricorso alla sigla "Fronte delle Carceri", fu effettuata dopo il successo della precedente "campagna D'Urso" e la successiva frammentazione dell'organizzazione in due grandi ali: quella militarista, impegnata sul fronte delle operazioni Taliercio e Sandrucci, e quella a vocazione movimentista, attiva sul fronte dei sequestri di Ciro Cirillo e di Roberto Peci, con lo scopo di sfondare la barriera del sud ed operare una campagna carceraria dal duplice obiettivo di attenuare il fenomeno dei pentiti colpendo gli "infami" e di migliorare la condizione carceraria dei detenuti. Durante la "campagna Peci", le Brigate Rosse produssero un documento audiovisivo, volutamente cruento, in cui veniva ripresa la sentenza di condanna a morte decisa dall'organizzazione e la reazione disperata, dopo averne appreso la notizia, di Roberto Peci. Il filmato – accompagnato da diverse richieste indirizzate dai brigatisti alla stampa e dalla pubblicazione degli stessi interrogatori del sequestrato – lascia intuire la volontà delle Brigate Rosse di "impressionare" l'opinione pubblica, sollecitandone una reazione emotiva avversa alle istituzioni in quanto "scandalizzata" dall'operato delle forze giudiziarie coinvolte nel sequestro in questione (il generale Dalla Chiesa e il magistrato Caselli in primis). Così come emerse dalle confessioni dell'ex brigatista Roberto Buzzati al processo di Ancona del 1986, infatti, uno degli obiettivi della campagna Peci era quello di dare una versione del pentimento di Peci che screditasse le istituzioni che in quegli anni stavano smantellando l'intera organizzazione, fungendo altresì da intimidazione per possibili futuri altri pentiti. Tale strategia investì la stessa famiglia Peci, procurando fratture e divisioni tra i due fratelli Roberto e Patrizio nell'ambito delle presunte "verità" delle Brigate Rosse e dei ritenuti rapporti intercorrenti con i Carabinieri. Attraverso il comunicato n. 4, divulgato dai terroristi il 1° luglio dell'81, assieme a due lettere indirizzate al fratello e alla propria moglie, Roberto Peci sostenne la versione delle Brigate Rosse del doppio arresto e dell'infiltrazione del fratello nell'organizzazione terroristica tra il primo e il secondo arresto, convinto che gli stessi Carabinieri avessero fatto pressioni sulla sua famiglia. In risposta Patrizio Peci, in una lettera pubblicata su diverse testate, negò la versione di Roberto, segnando l'inizio di una lite epistolare che vide Roberto accusare Patrizio di prestarsi ai giochi dei Carabinieri condannandolo – come di fatto poco dopo avvenne – praticamente alla morte.
DOI Code:
10.1285/i9788883051593p106
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